[MontelLUG] [Fwd: Nuovo gruppo di traduzione di Ubuntu in Lingua Veneta]

Matteo Vincenti matteo.vincenti a gmail.com
Sab 18 Dic 2010 15:34:57 CET


Loris


> l'idea che mi son fatto è che, per te, pi_greco vale 3.141592653589793...
> per me pi_greco vale "tre e quattordici".
> Cioè, tu ricerchi la precisione del termine e la correttezza formale
>


> Io, sarà per la mia formazione tecnica, tendo a fare approssimazioni per
> troncare parti trascurabili del problema.
>

Il fatto che quella che ponevo com questione strutturale, fondamentale, sia
colta come dettaglio superficiale trascurabile, dimostra solo che la mia
esposizione non è stata sufficientemente chiara.
Quando gli stessi concetti li leggevo sui manuali di bravi specialisti,
sembrava tutto così semplice ed evidente. :-)
È una buona lezione: devo essere più preparato, se voglio essere più utile.

La Lingua Veneta (e la scrivo così con le maiuscole, per pura posizione
> personale) c'è.
>

Ancora: c'è nel senso che i veneti hanno una varietà linguistica. È
tecnicamente un dialetto e non una lingua, ma non voglio impuntarmi: usare
una parola in modo impreciso è un diritto garantito.


> Questo un aspetto importante da tener presente nella traduzione: scrivere
> in dialetto non vuol dire essere un contadino, boaro e troglodita.
>

Nessuno lo dice. Ma non neghiamo che ogni varietà ha una sua collocazione:
italiano o dialetto si scelgono e dosano a seconda del contesto.

In linguistica si parla di:
- "variante diastratica": si parla diversamente in diverse fasce/classi
sociali, e di
- "variante diafasica": ad ogni occasione consegue un certo modo di parlare.

Il dialetto non è ignobile, ma "eora, elo rivà l'alimentator?" lo chiedi al
fornitore che conosci e che capisce il veneto. Parli allo stesso modo con un
cliente importante appena preso? Anch'io uso il dialetto, ma come te so
scegliere come quando e con chi.

Non si tratta di valore: non c'è meglio o peggio, solo più e meno adeguato.
Pretendere che tutte le parlate siano intercambiabili sarebbe come
pretendere che un bel vestito sia adatto a tutte le stagioni e tutte le
occasioni.

Ogni lingua ha poi vari livelli: si può fare grande cultura in dialetto,
basta leggere i grandi poeti veneti da Zanzotto fino agli sconosciuti per un
esempio. Così come si può parlare un italiano da boari.

Quel che manca in giro, e non sto parlando del gruppo Venebuntu che è una
bella iniziativa ma del contesto socioculturale di cui siamo finiti a
parlare, è proprio la volontà di "andare oltre" certi luoghi comuni.
Anch'io vorrei un riconoscimento per la parlata veneta. Ma credo che la si
ottenga nobilitando il veneto fino a permettergli di essere parlato ad ogni
livello e per ogni uso.
Quando si potrà parlare veneto senza che suoni forzato in qualunque posto e
situazione, allora potremo chiedere il riconoscimento di lingua ufficiale, o
almeno di lingua locale riconosciuta.

Ma per far questo ci vuol ben altro che una legge, ci vuole un cambiamento
culturale collettivo. Bisogna che i poeti inizino a scrivere in veneto
poesie che non riguardino solo "el fiò" o "a guera granda". Bisogna che gli
intellettuali pensino e scrivano in dialetto di questioni serie. Così piano
piano un figlio di papà in centro a Treviso un giorno potrebbe trovare
normale parlare dialetto veneto al caffè. Non dobbiamo imporre il veneto a
tutti i livelli, dobbiamo potenziarlo finché ci andrà da solo. Lo dobbiamo
sdoganare.

Io personalmente, scrivo haiku (brevi poesie di origine giapponese) ogni
tanto ne scrivo anche in dialetto e spero un giorno di metterne assieme
abbastanza per una raccolta. È il mio modo di fare la mia parte.

LIETO FINE

Per alleggerire, ti lascio con una provocazione che vuol essere produttiva.

Voi vi chiamate Venebuntu.

Visto che poi i vari pacchetti saguiranno la denominazione standard, presumo
che la community non abbia molto da ridire sul nome che vi date come gruppo.

Ubuntu in lingua bantu è un grande concetto, uno dei più grandi e
rivoluzionari che ho mai sentito.

Un segnale fortissimo potrebbe essere proprio questo: invece di tenere e
rimaneggiare una parola straniera, ubuntu, cercare di tradurre anche il nome
Ubuntu in veneto.

Ovviamemente solo per il nome del progetto.

Fare insieme una riflessione sul concetto di ubuntu e trovare nella cultura
veneta un modo equivalente e altrettanto potente di esprimerlo. Dimostrare
che il veneto ha nel suo patrimonio di concetti un'idea grande come "ubuntu"
varrebbe più di mille leggi.

Una provocazione, ma se il gruppo volesse raccoglierla, mi rendo fin d'ora
disponibile a collaborare.

A presto,

M.

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